venerdì 18 luglio 2008

Scoperto patto di droga tra il clan Di Lauro e la famiglia calabrese degli Alvaro

È un’inchiesta, manco a dirlo, nata da un’intercettazione telefonica. In essa Patrizio De Vitale, fedelissimo dei Di Lauro ammazzato l’anno scorso durante la coda della faida, parlava con alcuni trafficanti di droga all’estero. Uno spunto che si è rivelato decisivo per arrivare all’emissione di 7 ordinanze di custodia cautelare, eseguite ieri dai carabinieri nei confronti di altrettanti esponenti del clan Alvaro di Cosoleto (in provincia di Reggio Calabria). Nel mirino, ma finora solo a livello di “sospetti”, sono finiti anche alcuni pregiudicati napoletani di Secondigliano. Le indagini, iniziate dal Nucleo investigativo di Napoli nel 2005 su un più ampio contesto riguardante la faida di Secondigliano, erano finalizzate ad individuare i canali di approvvigionamento dello stupefacente utilizzati dal clan Di Lauro per importare cospicui quantitativi da distribuire sul territorio nazionale. Un primo sviluppo consentiva di individuare pregiudicati partenopei collegati ad un gruppo criminale calabrese, il quale poi si rese autonomo dai pregiudicati di casa nostra impegnati soprattutto nella terribile faida con gli “scissionisti”. L’attività ha consentito di individuare 8 indagati (uno si è reso latitante) distribuiti tra la Campania, la Calabria, l’Emilia Romagna, la Liguria e la Spagna, ognuno dei quali con compiti specifici in ordine alle diverse fasi dell’importazione e della distribuzione dello stupefacente nel territorio nazionale. La cosca calabrese aveva assegnato ad uno degli arrestati la liquidità necessaria a condurre le trattative per comprare lo stupefacente con la facoltà di concluderle autonomamente, saldando contestualmente ogni singola fornitura. La fase di importazione dello stupefacente avveniva mediante collaudati sistemi di trasporto su autocarri, appositamente modificati al fine di garantirne l’occultamento. A riscontro del “modus operandi” adottato dalla consorteria, in data 15 aprile 2006, in San Bartolomeo a Mare, provincia di Imperia, militari del Nucleo Investigativo di Napoli procedevano al sequestro di 7 chili di cocaina, occultati in un’intercapedine ricavata nella parte posteriore di un autoarticolato e al conseguente arresto dei corrieri provenienti dalla Spagna. In manette sono finiti Demetrio Franceschetti, Rocco Gullace, Carmelo Meliendo, Antonio Morabito, Brunello Moraldo, Franco Posticini, Salvatore Scrivo. Una curiosità relativa sempre a Patrizio De Vitale rigurda in cane "carnera" di ciruzzo 'o millionario. Paolo Di Lauro aveva pagato ben 100 milioni di lire “Carnera”, un mastino napoletano definito dagli esperti uno dei più “belli” d’Italia: un cane che vinceva premi dovunque e del quale il boss andava fiero. L’aveva affidato, dimostrando grande fiducia nei suoi confronti, proprio a Patrizio De Vitale. Un affetto ricambiato dal 47enne con il suo interessamento nel trovare al superlatitante un nascondiglio sicuro. Patrizio De Vitale non aveva grossi precedenti a carico, anche se era finito più volte nel mirino delle forze dell’ordine e della magistratura. Durante la fase più cruenta della faida sparì improvvisamente dalla circolazione per un paio di mesi e gli
inquirenti, che seguivano le sue tracce attraverso le intercettazioni telefoniche e ambientali, pensarono addirittura a un caso di lupara bianca vista la vicinanza con i Di Lauro. E invece non era così: semplicemente, questa l’analisi dei pm, il pregiudicato non voleva prendere parte alla guerra né avere in qualche modo una parte attiva. Però era a conoscenza di diverse cose e ascoltandolo, gli investigatori chiarirono il contesto di due omicidi. La prima volta Patrizio De Vitale salì alla ribalta della cronaca a settembre del 2002. Allora il prezioso cane del padrino soprannominato “Ciruzzo ‘o milionario” fu trovato chiuso in una gabbia buia e umida, digiuno e assetato, una infezione sul dorso causata dalla cattiva alimentazione, le ferite sul corpo che si era fatto da solo, quasi impazzito a star chiuso tra cemento e sbarre. In un casolare fetido era rinchiuso Carnera.

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