Imponevano ai commercianti prodotti contraffatti. È quanto emerso dalle indagini coordinate dalla Procura di Napoli: il clan Mazzarella, con roccaforte nella zona del Mercato, controllava il mercato della merce falsificata. In particolare, il lavoro investigativo eseguito dalla Squadra Mobile ha accertato che la cosca facente capo a Vincenzo Mazzarella, boss attualmente detenuto in carcere, si occupava del commercio di scarpe griffate “Hogan”, ovviamente false. Su provvedimento di fermo, le manette sono scattate ai polsi di tre persone, tra cui il nipote del
capocosca, Paolo Ottaviano, di 35 anni, considerato da inquirenti ed investigatori l’attuale reggente della famiglia malavitosa. La brillante operazione è stata eseguita dai Falchi, che hanno effettuato un blitz nel cuore della zona Mercato sorprendendo 8 persone: metà erano in strada, forse, con compiti di sentinella, mentre gli altri 4 erano impegnati in un “summit” di strategia contabile: stavano, in pratica, definendo le modalità di commercializzazione di prodotti contraffatti da immettere sul cosiddetto mercato “parallelo”, imponendolo, e stabilendo la divisione dei profitti derivanti dalla loro attività. Come si evince da un libro mastro trovato nell’appartamento-ufficio e sottoposto a sequestro. Un documento ritenuto importante dagli “007” della Mobile in quanto sono riportati i numerosi negozi che erano costretti a commercializzare le false “Hogan”. Oltre che per il parente del boss Vincenzo Mazzarella, le manette sono scattate ai polsi di Francesco Rinaldi, cinquantenne, e di Biagio Rapicano Aiello, 27 anni. I due sono stati arrestati in flagranza per il reato di associazione camorristica di stampo mafioso. Gli altri cinque, tra cui un minorenne, sono stati denunciati a piede libero in quanto ritenuti, come gli altri, responsabili del reato di associazione a delinquere di stampo camorristico. Il blitz è scattato intorno alle 13 di martedì, in vico San Matteo al Lavinaio (zona meglio conosciuta come “Lavinaio”). Posto sotto controllo il vicolo, da parte di motociclisti in forza alla Sezione Criminalità Diffusa, agenti bloccavano le sentinelle che si erano sistemate a ciascun angolo del palazzo in cui si stava svolgendo il summit. I partecipanti all’incontro sono stati letteralmente colti di sorpresa, non avendo la possibilità di disfarsi di documenti ritenuti molto importanti per il proseguo delle indagini. Tra questi anche un catalogo, a calori, in cui erano riportate fotografie di diversi modelli di scarpe della nota griffe, ovviamente, contraffatte; book uguale al campionario che l’azienda calzaturiera italiana, facente parte del gruppo Tod’s, di Diego Della Valle, ha in commercio; oltre a denaro in contanti. Trovato anche un block notes. Tutto il materiale ora è al vaglio degli inquirenti. Soprattutto, i dati annotati sui numerosi documenti contabili. Su alcuni di essi, infatti, accanto al modello di scarpa corrisponde il nominativo del commerciante cui erano o sono stati destinati. Le indagini da parte della Squadra Mobile proseguono per stabilire se l’acquisto della merce è stato imposto o quando è stato il frutto di un accordo criminale tra esponenti del clan e commercianti compiacenti. Quello del mercato delle “Hogan” contraffatte viene ritenuto un business alquanto redditizio per la cosca dei Mazzarella, che si aggirerebbe intorno a decine di migliaia di euro, commercio attivo da anni. I Mazzarella, un clan che controlla il mercato del falso, della contraffazione. L’inchiesta, coordinata dalla Procura di Napoli, appena conclusasi con l’arresto del nipote del boss Vincenzo, e di altri due affiliati, ha confermato quanto da tempo affermavano alcuni collaboratori di giustizia: la cosca della zona Mercato ha monopolizzato il mercato cosiddetto “parallelo”, che punta all’invasione del tessuto commerciale di griffe false. «Alcuni pentiti, sia vicini all’organizzazione criminale dei Mazzarella che a quella dei Misso, più volte avevano sottolineato questo aspetto. L’operazione eseguita in vico San Matteo ha evidenziato che si tratta di un business, alquanto redditizio, difficilmente
da quantificare, che ha trovato i suoi profitti nel settore dell’abbigliamento e della calzatura, in particolare». Una distribuzione del prodotto ai commercianti il più delle volte imposto dal clan, che ha puntato su una strategia diversa da quella a cui la camorra era ricorsa in passato, in altri settori commerciali. Infatti, i clan avevano assunto il controllo della distribuzione di generi alimentari, fungendo da grossisti che fornivano ad esercizi commerciali questo o quell’altro prodotto: latticini, gelateria, carni. Ora, gli affari il clan Mazzarella li fa con le scarpe, con la griffe “Hogan”, ovviamente falsa. Inquirenti ed investigatori, da anni hanno accertato che le organizzazioni camorristiche tendevano a gestire il mercato del falso, elaborando nuove idonee strategie e controllando ogni fase del business: produzione, commercializzazione dei prodotti
«con l’intento di perfezionare la realizzazione dei capi con lo scopo di renderli identici a quelli originali, in maniera da espanderne al massimo la distribuzione», si legge nel comunicato
emesso dalla Squadra Mobile di Napoli. La catena distributiva è assicurata in maniera capillare dal metodo mafioso, ed è rivolta a commercianti compiacenti o anche prestanomi che rappresentano una delle possibili occasioni per il riciclaggio dei proventi provenienti da attività
illegali, tipicamente camorristiche come droga, estorsioni. O nella maggior parte dei casi imposta, con minacce, agli esercenti commerciali, soprattutto ambulanti che lavorano in maniera diffusa nei mercatini rionali, ai quali vengono imposte quantità e prezzi dei prodotti da commerciare.
Questa strategia ha consentito ai Mazzarella, come alle altre organizzazione criminali, di acquisire una larga fetta di mercato sottraendolo alle aziende legali, nel caso della cosca del Mercato, al gruppo Tod’s dell’ìmprenditore delle calzature Diego Della Valle. L’arresto del reggente del clan di Vincenzo Mazzarella, di fatto, ha inferto un duro colpo non solo al gruppo criminale ma anche alle sue casse. Il clan avrebbe fissato un tariffario per la rete della distribuzione delle “Hogan”, da quanto accertato dagli investigatori della Mobile risulterebbe che all’organizzazione criminale ogni scarpa costerebbe tra i 20 ed 30 euro. La vendita, imposta o meno, al commerciante sarebbe stata fissata intorno ai 50-60 euro, quindi il doppio, mentre il costo finale, quello al consumatore sarebbe di 80-90 euro. Non si esclude che il prezzo possa salire ulteriormente se qualche esercente agisse in maniera truffaldina sostenendo che quel paio di scarpe è originale ma di provenienza diversa da quella centrale della “Hogan”. Circostanza che giustificherebbe il prezzo competitivo rispetto quello praticato dai negozi autorizzati dall’azienda produttrice, con
pesanti ripercussioni sul mercato legalizzato. Alla luce dei conteggi fatti, sia alla cosca che al negoziante o all’ambulante, a cui verrebbe, invece, imposto il prezzo di mercato, entrerebbe come guadagno rispettivamente il 100% ed il 50% o il 30%. Cifre che per il gruppo criminale aumentano estendendo il mercato delle scarpe contraffatte. Scarpe contraffatte, le indagini continuano per individuare il luogo dove avverrebbe la produzione dei vari modelli “Hogan”. Per gli “007” della Squadra Mobile le calzature sarebbe realizzare in città o, forse, nell’hinterland napoletano. Infatti, la polizia escluderebbe che ci sarebbe la “partecipazione” da parte della mafia cinese, specialista della contraffazione, che fornirebbe la materia prima ai malviventi napoletani.
Le scarpe sarebbero tutta opera della manovalanza locale. Per questo motivo, la polizia punterebbe alla all’individuazione di fabbriche, di appartamenti, di depositi attrezzati per lavorare la pelle, il cuoio. Al momento non ci sarebbe una pista principale da seguire, ma la
convinzione che ci sarebbero una o più strutture operanti abusivamente nel settore delle calzature si sta facendo strada tra gli investigatori. È possibile anche che considerato l’ingente
quantitativo di merce contraffatta che sbarca a Napoli proveniente dalla Cina la camorra abbia deciso di interessarsi solo del settore calzaturiero. Strategia dettata dalla necessità di evitare “scontri” tra le organizzazioni criminali cittadine e quelle dell’estremo oriente. In pratica, di non pestarsi i piedi a vicenda. La spiegazione sarebbe tutta nel fatto che i falsari napoletani avrebbero abbandonato da tempo il settore dell’abbigliamento, mercato gestito dagli orientali, che pagherebbero alla malavita organizzata cittadina una minima percentuale sui guadagni.
capocosca, Paolo Ottaviano, di 35 anni, considerato da inquirenti ed investigatori l’attuale reggente della famiglia malavitosa. La brillante operazione è stata eseguita dai Falchi, che hanno effettuato un blitz nel cuore della zona Mercato sorprendendo 8 persone: metà erano in strada, forse, con compiti di sentinella, mentre gli altri 4 erano impegnati in un “summit” di strategia contabile: stavano, in pratica, definendo le modalità di commercializzazione di prodotti contraffatti da immettere sul cosiddetto mercato “parallelo”, imponendolo, e stabilendo la divisione dei profitti derivanti dalla loro attività. Come si evince da un libro mastro trovato nell’appartamento-ufficio e sottoposto a sequestro. Un documento ritenuto importante dagli “007” della Mobile in quanto sono riportati i numerosi negozi che erano costretti a commercializzare le false “Hogan”. Oltre che per il parente del boss Vincenzo Mazzarella, le manette sono scattate ai polsi di Francesco Rinaldi, cinquantenne, e di Biagio Rapicano Aiello, 27 anni. I due sono stati arrestati in flagranza per il reato di associazione camorristica di stampo mafioso. Gli altri cinque, tra cui un minorenne, sono stati denunciati a piede libero in quanto ritenuti, come gli altri, responsabili del reato di associazione a delinquere di stampo camorristico. Il blitz è scattato intorno alle 13 di martedì, in vico San Matteo al Lavinaio (zona meglio conosciuta come “Lavinaio”). Posto sotto controllo il vicolo, da parte di motociclisti in forza alla Sezione Criminalità Diffusa, agenti bloccavano le sentinelle che si erano sistemate a ciascun angolo del palazzo in cui si stava svolgendo il summit. I partecipanti all’incontro sono stati letteralmente colti di sorpresa, non avendo la possibilità di disfarsi di documenti ritenuti molto importanti per il proseguo delle indagini. Tra questi anche un catalogo, a calori, in cui erano riportate fotografie di diversi modelli di scarpe della nota griffe, ovviamente, contraffatte; book uguale al campionario che l’azienda calzaturiera italiana, facente parte del gruppo Tod’s, di Diego Della Valle, ha in commercio; oltre a denaro in contanti. Trovato anche un block notes. Tutto il materiale ora è al vaglio degli inquirenti. Soprattutto, i dati annotati sui numerosi documenti contabili. Su alcuni di essi, infatti, accanto al modello di scarpa corrisponde il nominativo del commerciante cui erano o sono stati destinati. Le indagini da parte della Squadra Mobile proseguono per stabilire se l’acquisto della merce è stato imposto o quando è stato il frutto di un accordo criminale tra esponenti del clan e commercianti compiacenti. Quello del mercato delle “Hogan” contraffatte viene ritenuto un business alquanto redditizio per la cosca dei Mazzarella, che si aggirerebbe intorno a decine di migliaia di euro, commercio attivo da anni. I Mazzarella, un clan che controlla il mercato del falso, della contraffazione. L’inchiesta, coordinata dalla Procura di Napoli, appena conclusasi con l’arresto del nipote del boss Vincenzo, e di altri due affiliati, ha confermato quanto da tempo affermavano alcuni collaboratori di giustizia: la cosca della zona Mercato ha monopolizzato il mercato cosiddetto “parallelo”, che punta all’invasione del tessuto commerciale di griffe false. «Alcuni pentiti, sia vicini all’organizzazione criminale dei Mazzarella che a quella dei Misso, più volte avevano sottolineato questo aspetto. L’operazione eseguita in vico San Matteo ha evidenziato che si tratta di un business, alquanto redditizio, difficilmente
da quantificare, che ha trovato i suoi profitti nel settore dell’abbigliamento e della calzatura, in particolare». Una distribuzione del prodotto ai commercianti il più delle volte imposto dal clan, che ha puntato su una strategia diversa da quella a cui la camorra era ricorsa in passato, in altri settori commerciali. Infatti, i clan avevano assunto il controllo della distribuzione di generi alimentari, fungendo da grossisti che fornivano ad esercizi commerciali questo o quell’altro prodotto: latticini, gelateria, carni. Ora, gli affari il clan Mazzarella li fa con le scarpe, con la griffe “Hogan”, ovviamente falsa. Inquirenti ed investigatori, da anni hanno accertato che le organizzazioni camorristiche tendevano a gestire il mercato del falso, elaborando nuove idonee strategie e controllando ogni fase del business: produzione, commercializzazione dei prodotti
«con l’intento di perfezionare la realizzazione dei capi con lo scopo di renderli identici a quelli originali, in maniera da espanderne al massimo la distribuzione», si legge nel comunicato
emesso dalla Squadra Mobile di Napoli. La catena distributiva è assicurata in maniera capillare dal metodo mafioso, ed è rivolta a commercianti compiacenti o anche prestanomi che rappresentano una delle possibili occasioni per il riciclaggio dei proventi provenienti da attività
illegali, tipicamente camorristiche come droga, estorsioni. O nella maggior parte dei casi imposta, con minacce, agli esercenti commerciali, soprattutto ambulanti che lavorano in maniera diffusa nei mercatini rionali, ai quali vengono imposte quantità e prezzi dei prodotti da commerciare.
Questa strategia ha consentito ai Mazzarella, come alle altre organizzazione criminali, di acquisire una larga fetta di mercato sottraendolo alle aziende legali, nel caso della cosca del Mercato, al gruppo Tod’s dell’ìmprenditore delle calzature Diego Della Valle. L’arresto del reggente del clan di Vincenzo Mazzarella, di fatto, ha inferto un duro colpo non solo al gruppo criminale ma anche alle sue casse. Il clan avrebbe fissato un tariffario per la rete della distribuzione delle “Hogan”, da quanto accertato dagli investigatori della Mobile risulterebbe che all’organizzazione criminale ogni scarpa costerebbe tra i 20 ed 30 euro. La vendita, imposta o meno, al commerciante sarebbe stata fissata intorno ai 50-60 euro, quindi il doppio, mentre il costo finale, quello al consumatore sarebbe di 80-90 euro. Non si esclude che il prezzo possa salire ulteriormente se qualche esercente agisse in maniera truffaldina sostenendo che quel paio di scarpe è originale ma di provenienza diversa da quella centrale della “Hogan”. Circostanza che giustificherebbe il prezzo competitivo rispetto quello praticato dai negozi autorizzati dall’azienda produttrice, con
pesanti ripercussioni sul mercato legalizzato. Alla luce dei conteggi fatti, sia alla cosca che al negoziante o all’ambulante, a cui verrebbe, invece, imposto il prezzo di mercato, entrerebbe come guadagno rispettivamente il 100% ed il 50% o il 30%. Cifre che per il gruppo criminale aumentano estendendo il mercato delle scarpe contraffatte. Scarpe contraffatte, le indagini continuano per individuare il luogo dove avverrebbe la produzione dei vari modelli “Hogan”. Per gli “007” della Squadra Mobile le calzature sarebbe realizzare in città o, forse, nell’hinterland napoletano. Infatti, la polizia escluderebbe che ci sarebbe la “partecipazione” da parte della mafia cinese, specialista della contraffazione, che fornirebbe la materia prima ai malviventi napoletani.
Le scarpe sarebbero tutta opera della manovalanza locale. Per questo motivo, la polizia punterebbe alla all’individuazione di fabbriche, di appartamenti, di depositi attrezzati per lavorare la pelle, il cuoio. Al momento non ci sarebbe una pista principale da seguire, ma la
convinzione che ci sarebbero una o più strutture operanti abusivamente nel settore delle calzature si sta facendo strada tra gli investigatori. È possibile anche che considerato l’ingente
quantitativo di merce contraffatta che sbarca a Napoli proveniente dalla Cina la camorra abbia deciso di interessarsi solo del settore calzaturiero. Strategia dettata dalla necessità di evitare “scontri” tra le organizzazioni criminali cittadine e quelle dell’estremo oriente. In pratica, di non pestarsi i piedi a vicenda. La spiegazione sarebbe tutta nel fatto che i falsari napoletani avrebbero abbandonato da tempo il settore dell’abbigliamento, mercato gestito dagli orientali, che pagherebbero alla malavita organizzata cittadina una minima percentuale sui guadagni.
Si nascondeva a Terni a casa di parenti, forse un cognato, il latitante della camorra Emilio Di Caterino, 34 anni, detto "CAPA GROSSA",ritenuto uno dei luogotenenti di Giuseppe Setola, il boss dei Casalesi 'scissionisti' ricercato per la strage degli immigrati a Castel Volturno. Lo hanno arrestato nel pomeriggio i carabinieri. A suo carico ci sono tre ordinanze di custodia firmate dal gip di Napoli nei mesi scorsi con le accuse di associazione mafiosa e tentativo di estorsione: pur non essendo accusato formalmente di alcun omicidio, secondo gli inquirenti sarebbe coinvolto in diversi agguati messi a segno negli ultimi tempi dal gruppo di Setola. Di Caterino, forse non a caso, si sarebbe rifugiato in Umbria poco dopo la strage di Castel Volturno dove furono uccisi sei immigrati africani. Si era stabilito con la moglie e i tre figli in un appartamento a Rivo, alla periferia di Terni, dove non sono state trovate armi. E' qui che hanno fatto irruzione una quindicina di carabinieri del nucleo investigativo di Castello di Cisterna e di altri reparti della Campania. Il latitante era privo di documenti. Dopo gli ultimi duri colpi assestati alla camorra dalle forze di polizia, l'attenzione degli investigatori si era concentrata soprattutto su due pericolosi ricercati del gruppo degli scissionisti del clan Bidognetti: Setola e Di Caterino, appunto. Latitanti definiti ''molto armati e molto determinati a non farsi catturare''. A ricostruire il percorso criminale di Di Caterino e' stato di recente Oreste Spagnuolo, fino a pochi giorni fa uno degli affiliati al clan e oggi pentito. Ai pm Spagnuolo ha raccontato che ''il mio gruppo ha sempre fatto capo a Bidognetti Francesco'', detto 'Cicciott' e mezzanotte', da tempo detenuto, ''e alle persone che lo rappresentano sul territorio''. ''So che in un periodo immediatamente antecedente alla mia affiliazione'', che risale al 2000, ''il capo era Giuseppe Setola, ma questi fu arrestato pochi giorni prima che io entrassi a far parte del gruppo''. Subito dopo ''il referente del capo recluso'' sarebbe diventato Alessandro Cirillo, che gesti' il gruppo ''almeno fino all'inizio della sua latitanza, collegata al pentimento di Domenico Bidognetti... Due giorni dopo la notizia del suo pentimento Alessandro Cirillo si rese latitante e la gestione del clan passo' a Massimo Alfiero e Emilio Di Caterino'', per poi tornare saldamente nelle mani di Setola, dopo la sua evasione. Ai pm Spagnuolo ha fatto nomi e cognomi non solo degli affiliati veri e propri, ma anche di persone ''a disposizione'' del clan. Il gruppo ''si strinse attorno a Setola, che scelse Alessandro Cirillo, Giovanni Letizia e me. Praticamente eravamo noi quattro a fare tutto ma ovviamente avevamo una rete di persone che agivano per noi, una dozzina di persone; alcune di queste erano affiliate, stipendiati per poco meno di duemila euro al mese, ed altri erano semplicemente a disposizione, traendo profitto ed essendo legati al capo per amicizia e timore''. Tra le persone ''affiliate - racconta ancora il pentito - vi erano Emilio Di Caterino, Massimo Alfiero, tale Luigi Natale detto 'o' marano' di Casal di Principe, Metello Di Bona, Davide Granata, Giuseppe Guerra di San Marcellino, Massimo Amatrudi (per un periodo breve), Carletto Di Raffaele, Giuseppe Gagliardi), Pasquale Musciarella, Antonio Alluce ed altre che conosco di nome''. Tutte ''persone che 'giravano', nel senso che raccoglievano le tangenti per nostro conto e ce le consegnavano. 


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