martedì 21 ottobre 2008

Arrestato un altro pezzo grosso del gruppo dei Casalesi di Giuseppe Setola: Emilio Di Caterino, detto "capa grossa".

Si nascondeva a Terni a casa di parenti, forse un cognato, il latitante della camorra Emilio Di Caterino, 34 anni, detto "CAPA GROSSA",ritenuto uno dei luogotenenti di Giuseppe Setola, il boss dei Casalesi 'scissionisti' ricercato per la strage degli immigrati a Castel Volturno. Lo hanno arrestato nel pomeriggio i carabinieri. A suo carico ci sono tre ordinanze di custodia firmate dal gip di Napoli nei mesi scorsi con le accuse di associazione mafiosa e tentativo di estorsione: pur non essendo accusato formalmente di alcun omicidio, secondo gli inquirenti sarebbe coinvolto in diversi agguati messi a segno negli ultimi tempi dal gruppo di Setola. Di Caterino, forse non a caso, si sarebbe rifugiato in Umbria poco dopo la strage di Castel Volturno dove furono uccisi sei immigrati africani. Si era stabilito con la moglie e i tre figli in un appartamento a Rivo, alla periferia di Terni, dove non sono state trovate armi. E' qui che hanno fatto irruzione una quindicina di carabinieri del nucleo investigativo di Castello di Cisterna e di altri reparti della Campania. Il latitante era privo di documenti. Dopo gli ultimi duri colpi assestati alla camorra dalle forze di polizia, l'attenzione degli investigatori si era concentrata soprattutto su due pericolosi ricercati del gruppo degli scissionisti del clan Bidognetti: Setola e Di Caterino, appunto. Latitanti definiti ''molto armati e molto determinati a non farsi catturare''. A ricostruire il percorso criminale di Di Caterino e' stato di recente Oreste Spagnuolo, fino a pochi giorni fa uno degli affiliati al clan e oggi pentito. Ai pm Spagnuolo ha raccontato che ''il mio gruppo ha sempre fatto capo a Bidognetti Francesco'', detto 'Cicciott' e mezzanotte', da tempo detenuto, ''e alle persone che lo rappresentano sul territorio''. ''So che in un periodo immediatamente antecedente alla mia affiliazione'', che risale al 2000, ''il capo era Giuseppe Setola, ma questi fu arrestato pochi giorni prima che io entrassi a far parte del gruppo''. Subito dopo ''il referente del capo recluso'' sarebbe diventato Alessandro Cirillo, che gesti' il gruppo ''almeno fino all'inizio della sua latitanza, collegata al pentimento di Domenico Bidognetti... Due giorni dopo la notizia del suo pentimento Alessandro Cirillo si rese latitante e la gestione del clan passo' a Massimo Alfiero e Emilio Di Caterino'', per poi tornare saldamente nelle mani di Setola, dopo la sua evasione. Ai pm Spagnuolo ha fatto nomi e cognomi non solo degli affiliati veri e propri, ma anche di persone ''a disposizione'' del clan. Il gruppo ''si strinse attorno a Setola, che scelse Alessandro Cirillo, Giovanni Letizia e me. Praticamente eravamo noi quattro a fare tutto ma ovviamente avevamo una rete di persone che agivano per noi, una dozzina di persone; alcune di queste erano affiliate, stipendiati per poco meno di duemila euro al mese, ed altri erano semplicemente a disposizione, traendo profitto ed essendo legati al capo per amicizia e timore''. Tra le persone ''affiliate - racconta ancora il pentito - vi erano Emilio Di Caterino, Massimo Alfiero, tale Luigi Natale detto 'o' marano' di Casal di Principe, Metello Di Bona, Davide Granata, Giuseppe Guerra di San Marcellino, Massimo Amatrudi (per un periodo breve), Carletto Di Raffaele, Giuseppe Gagliardi), Pasquale Musciarella, Antonio Alluce ed altre che conosco di nome''. Tutte ''persone che 'giravano', nel senso che raccoglievano le tangenti per nostro conto e ce le consegnavano.

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