Sono rimasti in carcere per ore perché il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli ha pensato bene di non convalidare il fermo. È questa la clamorosa svolta dopo l’arresto di Raffaele Amato detto “Lello ’o piccirillo” e di Francesco Ferro, uno 18 e l’altro 26 anni. I due,hanno ottenuto il solo obbligo di firma nononostate le pesantissime accuse che il pm ha contestato ai due. La resistenza a pubblico ufficiale era infatti aggravata dall’articolo sette perché i due erano ritenuti vicini al clan Amato-Pagano, in particolare “Lelluccio” è il nipote diretto di Raffaele Amato, considerato da investigatori ed inquirenti il boss incontrastato dell’area Nord di Napoli dopo la sanguinosa scissione con il clan Di Lauro. L’avvocato ha dimostrato, presentando decine di precedenti, che per Amato e Ferro, c’è stata una disparità di trattamento rispetto agli altri fermi per resistenza a pubblico ufficiale che vengono invece giudicati per direttissima. «È stato così per i No-global, così per le “teste calde” del tifo, così anche per gli arresti dopo gli scontri dove morì l’ispettore Raciti a Catania. Chi è arrestato per resistenza viene processato per direttissima. Ma non è così per uno che porta un cognome pesante. E poi le accuse dei pentiti vanno dimostrate». Già i pentiti, perché il pubblico ministero ha depositato in aula i verbali di Antonio Prestieri che confermavano la personalità del 18enne, verbali depositati per confermare l’aggravante dell’articolo 7. Ma non è bastato e così i due sono stati liberati. Eppure secondo l’accusa erano i fautori di una rivolta organizzata via telefono e di una violenta colluttazione. Bilancio questo dell’ultima giornata di guerriglia metropolitana quella che purtroppo si è due giorni tra Sant’Antimo e Melito. I carabinieri della locale tenenza coadiuvati dai militari della tenenza di Sant'Antimo e dell’aliquota radiomobile di Giugliano in Campania hanno alla fine sono riusciti a portare a termine il loro compito con coraggio e determinazione. L’arresto è avvenuto in flagranza per lesioni, resistenza e violenza a pubblico ufficiale e per danneggiamento e minaccia commessa avvalendosi delle condizioni di associazione per delinquere di tipo mafioso Francesco Ferro, 23 anni, residente a Melito in via De Nicola, già noto alle forze dell’ordine ed Raffaele Amato, 18 anni, detto "Lelluccio ’o piccirillo" oppure "Capa Ianca", residente a Napoli sul vico Parrocchia, già noto alle forze dell’ordine e ritenuto, nonostante la giovanissima età. I due, insieme ad una terza persona che è in via d’identificazione transitavano sul corso Europa a Sant’Antimo a bordo di Fiat Bravo di proprietà di una società di autonoleggio e non si sono fermati all’alta, da lì l’inseguimento e l’arresto a Melito nel rione 219, dopo una rivolta dei residenti che volevano proteggere i due. Le sue accuse sono circostanziate e racchiuse in alcuni verbali omissati che il pubblico ministero della Dda, Luigi Alberto Cannavale, ha depositato
nel corso dell’udienza di convalida del fermo per Raffaele Amato, 18 anni, e Francesco Ferro, 27 anni. «Ha 18 anni ma è già un boss a tutti gli effetti, per lo zio ha commesso molti reati ed è una figura importante per la gestione della cosca». Antonio Prestieri, quasi coetaneo di Lelluccio “capa ianca”, è stato sentito alcuni mesi fa dai pubblici ministeri della Dda di Napoli in merito a
tutto quanto conosceva sulla mala di Secondigliano. A puntare il dito contro i trafficanti arrestati ieri, limitatamente a quelli che ha riconosciuto nei filmati, è stato il pentito Antonio Prestieri.
Quelle sue dichiarazioni potrebbero essere usate anche in altri procedimenti ma per ora il giovane ha l'assoluto diritto di essere considerato innocente fino a prova contraria. Nipote del ras Maurizio Prestieri, anch'egli passato precedentemente dalla parte dello Stato, il giovane si presentò da uomo libero agli uffici della procura antimafia e da allora sta collaborando con gli inquirenti. In questo caso il suo contributo è servito per identificare personaggi meno noti agli stessi esperti carabinieri del Nucleo investigativo di Castello di Cisterna. Anche lo zio Maurizio sta riempiendo molte pagine di verbali, ma è soprattutto sul clan Di Lauro che sta parlando. Come sei mesi fa a proposito di un episodio molto particolare. «A Paolo Di Lauro era andato male
un affare in America e aveva incaricato due suoi uomini di recuperare i quattro miliardi di lire che riteneva gli dovevano essere restituiti da alcuni italo-americani. Ma il tentativo di mediazione andò male e la vendetta si concretizzò con l'incendio doloso di un ristorante nella disponibilità di questi ultimi».
nel corso dell’udienza di convalida del fermo per Raffaele Amato, 18 anni, e Francesco Ferro, 27 anni. «Ha 18 anni ma è già un boss a tutti gli effetti, per lo zio ha commesso molti reati ed è una figura importante per la gestione della cosca». Antonio Prestieri, quasi coetaneo di Lelluccio “capa ianca”, è stato sentito alcuni mesi fa dai pubblici ministeri della Dda di Napoli in merito a
tutto quanto conosceva sulla mala di Secondigliano. A puntare il dito contro i trafficanti arrestati ieri, limitatamente a quelli che ha riconosciuto nei filmati, è stato il pentito Antonio Prestieri.
Quelle sue dichiarazioni potrebbero essere usate anche in altri procedimenti ma per ora il giovane ha l'assoluto diritto di essere considerato innocente fino a prova contraria. Nipote del ras Maurizio Prestieri, anch'egli passato precedentemente dalla parte dello Stato, il giovane si presentò da uomo libero agli uffici della procura antimafia e da allora sta collaborando con gli inquirenti. In questo caso il suo contributo è servito per identificare personaggi meno noti agli stessi esperti carabinieri del Nucleo investigativo di Castello di Cisterna. Anche lo zio Maurizio sta riempiendo molte pagine di verbali, ma è soprattutto sul clan Di Lauro che sta parlando. Come sei mesi fa a proposito di un episodio molto particolare. «A Paolo Di Lauro era andato male
un affare in America e aveva incaricato due suoi uomini di recuperare i quattro miliardi di lire che riteneva gli dovevano essere restituiti da alcuni italo-americani. Ma il tentativo di mediazione andò male e la vendetta si concretizzò con l'incendio doloso di un ristorante nella disponibilità di questi ultimi».
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