Dodici anni per colui che viene considerato il capo della mala del Vomero-Arenella, dieci per il suo braccio destro. Sono stati duri i giudici della quinta sezione del Tribunale di Napoli, che hanno emesso ieri 6 ottobre 08 la sentenza di primo grado nel processo per estorsione a Maurizio Brandi e Paolo Miccio. Ora per gli imputati, entrambi in carcere, la speranza è affidata all’Appello e alla Cassazione. Nel frattempo devono essere ritenuti innocenti fino all’eventuale condanna definitiva. «Tu mi conosci, tutti al Vomero mi conoscono. Sono Maurizio Brandi e mi devi dare 50mila euro se vuoi stare tranquillo e continuare in pace il tuo lavoro». Con queste poche frasi secondo l’accusa il 43enne pregiudicato di via Alfredo Rocco all’Arenella, ras dello storico clan del Vomero diretto un tempo dal boss Giovanni Alfano prima della spaccatura con Luigi Cimmino e Antonio Caiazzo, avrebbe seminato il terrore in un negozio di abbigliamento ultraventennale nel cuore del quartiere. E, come se non bastasse, successivamente sarebbe passato Paolo Miccio, oggi 37enne, a rincarare la dose: «La somma si intende all’anno, non una sola volta: ti conviene pagare se non vuoi problemi con Maurizio». Per il commerciante era troppo e decise di chiedere aiuto ai carabinieri, che cominciarono un’indagine coordinata dalla procura antimafia. Il 17 novembre 2006 ci fu la prima conclusione, con il decreto di fermo eseguito dai militari del Vomero. Per Maurizio Brandi e Paolo Miccio (che abita in via Domenico Fontana) l’accusa fu di tentata estorsione aggravata dall’articolo 7. La richiesta di “pizzo”, nella ricostruzione dell’accusa, non era una tantum ma presupponeva una periodicità. Con l’ipotesi, rimasta però soltanto tale, che i presunti affiliati alla mala collinare intendessero utilizzare parte dei soldi per spese legali. Maurizio Brandi e Paolo Miccio, allora entrambi sottoposti alla misura di sicurezza della libertà vigilata, furono bloccati all’alba dai militari nelle rispettive abitazioni. Stavano tranquillamente dormendo e il risveglio non fu ovviamente tra i più piacevoli. Ma facendo buon viso a cattivo gioco, seguirono gli uomini dell’Arma prima alla caserma di piazza Quattro Giornate e poi al carcere di Poggioreale. L’accusa si è retta essenzialmente sulla denuncia della vittima, non essendo stati arrestati in flagranza di reato i due indagati. Circostanza che rese quanto mai delicate l’udienza di convalida davanti al gip ma soprattutto il pronunciamento dei giudici del Tribunale del Riesame. Brandi e Miccio non profferirono alcuna frase, se non quelle dovute alla particolare circostanza dell’arresto, con i carabinieri. L’operazione degli investigatori dell’Arma e della procura antimafia dimostrò come sia sempre molto viva l’attenzione nei confronti del fenomeno estorsivo nelle zone della Napolibene, le più colpite dal racket. L’ultimo pentito in ordine di tempo a parlare di Maurizio Brandi è stato Ciro Castaldo, personaggio dei Quartieri Spagnoli meglio noto come “Ciro-Ciro”, a proposito dei rapporti tra il clan Mariano e la malavita del Vomero-Arenella. «Il gruppo di cui facevo parte (i Mariano, ndr) - ha sostenuto Castaldo - aveva rapporti con altri clan e in particolare con quelli del Vomero-Arenella. Io stesso ho conosciuto Luigi Cimmino e Antonio Caiazzo». Non si è limitato a parlare della malavita dei Quartieri Spagnoli l’ex ras emergente di Montesanto, nipote acquisito di Marco Mariano e collaboratore di giustizia dal 1999 in località protetta. Nel corso di diversi interrogatori ha delineato la mappa delle alleanze tra le cosche, soffermandosi il 27 novembre 2004 sui rapporti con la malavita collinare, dilaniata all’epoca dei fatti raccontati da una guerra intestina. «Ricordo che un mio ragazzo, Ciro Sgambati - ha sostenuto Ciro Castaldo - ebbe una discussione con Maurizio Brandi perché gli doveva dei soldi non ricordo per quale motivo e io fui investito della questione. La cosa però, si risolse velocemente anche perché i rapporti tra il mio gruppo e quelli del Vomero erano buoni. Io ho conosciuto, in particolare, sia Cimmino che Brandi attraverso Salvatore Raimondi, che faceva parte del mio gruppo ma abitava in salita Arenella, vicino a Cimmino, ed era cresciuto con i suoi ragazzi». Raimondi fu ucciso per caso nel corso del raid costato la vita a Silvia Ruotolo
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