Uno dei superkiller del gruppo di scissionisti del clan dei Casalesi si è pentito ed ha permesso una maxiretata scattata nella notte tra venerdì e ieri 11 ottobre 2008. Undici i destinatari del decreto di fermo. Quattro di loro sono sfuggiti alla cattura, tra cui anche il capo dell’ala stragista dei Casalesi, Giuseppe Setola, ritenuto il responsabile dell’ondata di attentati che ha insanguinato il casertano negli ultimi sei mesi. In cella sono finite invece sette persone, ritenute a vario titolo componenti e fiancheggiatori del gruppo di fuoco. Ma la vera novità è il nuovo pentito che potrebbe scardinare gli assetti del clan. Si tratta di Oreste Spagnuolo, uno dei tre presunti killer del clan dei Casalesi catturati il 30 settembre scorso dai carabinieri in due villette tra Giugliano e Quarto. È bastata una settimana di carcere duro e la prospettiva di un sicuro ergastolo per far decidere Spagnuolo a “saltare il fosso”. I suoi familiari sono già al sicuro, in località protetta. Ora, grazie alle sue dichiarazioni, la Direzione antimafia di Napoli tenta di fare terra bruciata attorno al superlatitante Giuseppe Setola, e agli altri boss ancora irreperibili (Michele Zagaria e Antonio Iovine prima di tutti). Il decreto di fermo riguarda anche una donna, Antonietta Pellegrino, di 26 anni, con precedenti, residente a Giugliano, appartenente a una famiglia ritenuta legata al clan dei Casalesi e accusata di favoreggiamento per avere coperto la latitanza di alcuni esponenti di spicco dell'organizzazione camorristica. Con l'accusa di favoreggiamento e anche di associazione per delinquere è stato arrestato anche il marito, Nicola Gagliardini, 35 anni, di Lusciano. Arrestati, nell’operazione di ieri, anche Massimo Alfiero, Vincenzo Di Fraia, Pietro Fontana, Nicola Tavoletta e Bernardino Terracciano. Quest’ultimo è noto per aver recitato nel film “Gomorra”, tratto dal bestseller di Roberto Saviano e candidato italiano al Premio Oscar. I capi di imputazione contenuti nel decreto di fermo contro gli undici riguardano l’organizzazione e il compimento della tentata strage di alcuni nigeriani (in cinque rimasero feriti) avvenuto il 18 agosto scorso in un'abitazione di Castelvolturno sede di un'associazione che si occupa della tutela delle prostitute extracomunitarie. Contestata anche l’estorsione ai danni di Raffaele Granata, il titolare del lido balneare “La Fiorente” a Varcaturo, ucciso la scorsa estate per essersi opposto al ricatto del clan. Contestato naturalmente il reato di associazione a delinquere di stampo camorristico ma con l’aggravante della finalità terroristica. Nel corso dell'operazione, a cavallo tra le province di Napoli e Caserta sono state effettuate numerose perquisizioni in abitazioni di pregiudicati, affiliati e fiancheggiatori della cosca. Tre persone trovate in possesso di armi sono state arrestate a Marano e Marigliano (ne riferiamo nella pagina seguente). Prima gli arresti scattati alla fine di settembre, poi il trasferimento al 41bis tra le carceri di Opera e Parma. La prospettiva era di un ergastolo da scontare al carcere duro. Oreste Spagnuolo, arrestato il 30 settembre in un villino a Quarto, con Alessandro Cirillo e Giovanni Letizia, è accusato di far parte della fazione stragista del clan dei casalesi che ha fatto decine di morti negli ultimi sei mesi. La scelta di Spagnuolo è stata rapida: collaborare con la giustizia per ricostruirsi una vita altrove. Il suo pentimento potrebbe portare a scardinare i vertici attuali del clan più temuto d’Italia. E a ricostruire la mappa aggiornata degli organigrammi e dell’impero economico dei Casalesi. E le sue prime dichiarazioni già stanno dando i primi frutti. Del resto Spagnuolo è un affiliato antico, diventato di recente un uomo di primo piano nella ristrutturazione del clan imposta da Giuseppe Setola. Le sue dichiarazioni ai pm della Dda di Napoli cominciano così: «Io sono stato affiliato con il gruppo Bidognetti nel 2000 e fui affiliato da Cirillo Alessandro quando iniziai a fare il giro per le estorsioni presso il litorale domizio; prendevo circa 2 milioni e mezzo di lire al mese».Spagnuolo
aggiunge: «Il mio gruppo ha sempre fatto capo a Bidognetti Francesco ed alle persone che lo rappresentano sul territorio. All'epoca della mia affiliazione, nel 2000, il referente del capo recluso era Cirillo Alessandro. So che in un periodo immediatamente antecedente alla mia affiliazione il capo era Setola Giuseppe ma questi fu arrestato proprio pochi giorni prima che io entrassi a far parte stabile del gruppo». Lo scorso aprile Setola, posto agli arresti domiciliari con un clamoroso provvedimento basato su una perizia medica quantomeno sospetta che diagnosticava una presunta grave malattia agli occhi, riesce ad evadere. Racconta Spagnuolo: «Il clan, prima dell'evasione del Setola, si trovava in un periodo stagnante, e tutto cambiò con l'avvento di Peppe. Convocò Letizia Giovanni e Cirillo Alessandro, presente anche Alfiero Massimo. Quel giorno Setola prese il comando e dichiarò la sua intenzione di fare “a modo suo”; capimmo subito cosa intendeva. Creò un gruppo ristretto di persone ed assunse un atteggiamento estremamente autoritario. La strategia di Setola fu evidente e questi decise di incutere il terrore sul territorio e di uccidere i familiari dei pentiti». Setola si dimostra un leader con modi dittatoriali e violenti, racconta sempre Spagnuolo: «Non dava alcune spiegazione delle sue determinazioni perché nessuno poteva avere alcun ruolo nelle sue decisioni; assunse un ruolo di massima autorità. Non vi era alcuna possibilità di discutere delle sue scelte e tutte le persone
facenti parte del gruppo aderirono necessariamente alla sua volontà. Il clan si strinse attorno al Setola e furono da questi scelti Cirillo Alessandro, Letizia Giovanni ed io: la scelta su di me cadde perché anche io ero latitante, così come Letizia e Cirillo, e trascorrevo la latitanza insieme al Letizia. Praticamente eravamo noi quattro a fare tutto ma ovviamente avevamo una rete di persone che agivano per noi, una dozzina di persone; alcuni di questi erano affiliati – stipendiati per poco meno di 2mila euro al mese – ed altri erano semplicemente “a disposizione”, traendo profitto ed essendo legati al capo per amicizia e timore». Ma sono gli affari il vero fulcro delle
dichiarazioni di Spagnuolo: «La cassa era gestita direttamente dal Setola ed ammontava mediamente a 90mila euro al mese, subendo le variazioni legate alle contingenze». Anche i Bidognetti traevano profitti ed eran d’accordo con Setola: «Lui decise dunque di attuare questa
strategia di terrore sul territorio e così si agì secondo i suoi ordini; non so dire quanto questa strategia fosse necessaria ma certamente il capo disse che era stata autorizzata dal capo detenuto, Bidognetti Francesco; ricordo in particolare che in un’occasione, pochi mesi fa, quando
erano stati già consumati molti omicidi, il figlio di “Cicciotto”, Bidognetti Gianluca, ci disse – tornando da un colloquio - che non aveva mai visto il padre così contento come ora. Peppe Setola si occupava personalmente di far recapitare una quota destinata alla famiglia Bidognetti – ossia
al padre Cicciotto ed ai figli Aniello e Raffaele, tutti detenuti. A “cicciotto” venivano recapitati 5mila euro mensili mentre ai figli Aniello e Raffaele venivano dati 3mila e 500 euro ciascuno, corrisposti tramite le loro rispettive mogli».
aggiunge: «Il mio gruppo ha sempre fatto capo a Bidognetti Francesco ed alle persone che lo rappresentano sul territorio. All'epoca della mia affiliazione, nel 2000, il referente del capo recluso era Cirillo Alessandro. So che in un periodo immediatamente antecedente alla mia affiliazione il capo era Setola Giuseppe ma questi fu arrestato proprio pochi giorni prima che io entrassi a far parte stabile del gruppo». Lo scorso aprile Setola, posto agli arresti domiciliari con un clamoroso provvedimento basato su una perizia medica quantomeno sospetta che diagnosticava una presunta grave malattia agli occhi, riesce ad evadere. Racconta Spagnuolo: «Il clan, prima dell'evasione del Setola, si trovava in un periodo stagnante, e tutto cambiò con l'avvento di Peppe. Convocò Letizia Giovanni e Cirillo Alessandro, presente anche Alfiero Massimo. Quel giorno Setola prese il comando e dichiarò la sua intenzione di fare “a modo suo”; capimmo subito cosa intendeva. Creò un gruppo ristretto di persone ed assunse un atteggiamento estremamente autoritario. La strategia di Setola fu evidente e questi decise di incutere il terrore sul territorio e di uccidere i familiari dei pentiti». Setola si dimostra un leader con modi dittatoriali e violenti, racconta sempre Spagnuolo: «Non dava alcune spiegazione delle sue determinazioni perché nessuno poteva avere alcun ruolo nelle sue decisioni; assunse un ruolo di massima autorità. Non vi era alcuna possibilità di discutere delle sue scelte e tutte le persone
facenti parte del gruppo aderirono necessariamente alla sua volontà. Il clan si strinse attorno al Setola e furono da questi scelti Cirillo Alessandro, Letizia Giovanni ed io: la scelta su di me cadde perché anche io ero latitante, così come Letizia e Cirillo, e trascorrevo la latitanza insieme al Letizia. Praticamente eravamo noi quattro a fare tutto ma ovviamente avevamo una rete di persone che agivano per noi, una dozzina di persone; alcuni di questi erano affiliati – stipendiati per poco meno di 2mila euro al mese – ed altri erano semplicemente “a disposizione”, traendo profitto ed essendo legati al capo per amicizia e timore». Ma sono gli affari il vero fulcro delle
dichiarazioni di Spagnuolo: «La cassa era gestita direttamente dal Setola ed ammontava mediamente a 90mila euro al mese, subendo le variazioni legate alle contingenze». Anche i Bidognetti traevano profitti ed eran d’accordo con Setola: «Lui decise dunque di attuare questa
strategia di terrore sul territorio e così si agì secondo i suoi ordini; non so dire quanto questa strategia fosse necessaria ma certamente il capo disse che era stata autorizzata dal capo detenuto, Bidognetti Francesco; ricordo in particolare che in un’occasione, pochi mesi fa, quando
erano stati già consumati molti omicidi, il figlio di “Cicciotto”, Bidognetti Gianluca, ci disse – tornando da un colloquio - che non aveva mai visto il padre così contento come ora. Peppe Setola si occupava personalmente di far recapitare una quota destinata alla famiglia Bidognetti – ossia
al padre Cicciotto ed ai figli Aniello e Raffaele, tutti detenuti. A “cicciotto” venivano recapitati 5mila euro mensili mentre ai figli Aniello e Raffaele venivano dati 3mila e 500 euro ciascuno, corrisposti tramite le loro rispettive mogli».
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