Vestito di bianco in maniera appariscente, il capoclan Raffaele Cuccaro di Barra aveva guidato un manipolo di presunti taglieggiatori all’assalto dei titolari di una società di Pollena Trocchia che opera nel settore tecnologico. Obiettivo: fare in modo che gli imprenditori rinunciassero a un credito di 250mila euro, stabilito con sentenza del Tribunale Civile per una mancata fornitura di merce, nei confronti di una ditta “amica”: la “CTC spa”, con sede nel Centro Direzionale di Napoli. Non poteva immaginare il boss, reggente del gruppo omonimo, di essere riconosciuto dai carabinieri di Cercola anche per il suo abbigliamento, è finito così sotto inchiesta della Dda. Il risultato all’alba di ieri: sei fermi per tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso. Tra i destinatari ci sono anche due amministratori dell’impresa favorita: madre e figlio. Dietro le sbarre sono finiti Raffaele Cuccaro, Andrea e Fabio Andolfi (fratelli tra loro cugini del ras Andrea Andolfi “’o minorenne”, estraneo all’inchiesta ma in passato accusato di gravi reati) e Giuseppe Petrone, tutti affiliati al clan Cuccaro di Barra che avrebbero agito su mandato di esponenti del clan Sarno di Ponticelli, al momento ancora ignoti. Il provvedimento restrittivo è stato notificato anche a Carmine Torre e Patrizia Perrotta, rispettivamente amministratore unico e gestore di fatto della “C.T.C” di Napoli. Le minacce accertate dagli investigatori sarebbero state rivolte da Raffaele Cuccaro, in assenza dei titolari della ditta, al responsabile delle vendite. Le frasi, a voce e scritte su un foglietto formato A4 lasciato dal capoclan, sono ritenute inequivocabili: «Siamo amici di Barra, ci presentiamo per conto degli “amici di Ponticelli”...»; e ancora: «Guagliò, qui le cose non stanno buone, questa è l’imbasciata, portala ai titolari»; e infine: «O si fa così o è peggio per tutti voi... Torneremo a breve, il primo che abbusca sei te». Le indagini sono partite il 10 luglio, intorno alle 18, quando una pattuglia in abiti civili della Tenenza di Cercola notò un gruppetto di 5-6 persone ferme all’esterno di un esercizio commerciale. Uno di loro, tutto vestito di bianco, attirò particolarmente la loro attenzione e così gli investigatori annotarono i numeri di targa delle due autovetture in uso al gruppetto fotografando tutti. Ritornati in caserma, i carabinieri controllarono le foto segnaletiche in loro possesso accertando che l’uomo vestito di bianco era Raffaele Cuccaro, uomo di vertice del clan di Barra nonché componente della famiglia dei “Cuccarielli” di via Vela a Barra. La sua foto era negli archivi per i precedenti penali. Il giorno successivo, l’11 luglio scorso, i militari si recarono presso la sede della società a Pollena e si imbattevano in uno dei titolari della attività. Quest’ultimo ribadì quanto il giorno precedente riferito dal suo socio, che però non aveva voluto verbalizzare, aggiungendo che la signora Perrotta, madre di Carmine Torre, titolare della ditta con cui era in atto il contenzioso civilistico, gli aveva telefonato e senza mezzi termini aveva rivendicato a sé e al figlio la paternità della proditoria azione e la riconducibilità dell’azienda alla “gente di Ponticelli”. «Ci avete costretto a me e a mio figlio Carmine a mandarvi quelle persone... Lo sapete che la società non è nostra e che dietro ci sta la gente di Ponticelli?». Un ulteriore indizio a carico degli indagati, anche se le parti lese nel corso degli accertamenti hanno avuto un comportamento più che timido, evidentemente impauriti. Raffaele Cuccaro detto “Rafele”, fratello del boss Michele e dell’altro fratello ras Angelo, salì alla ribalta della cronaca nel 2005 per un episodio che fuoriesce un po’ dai consueti canoni camorristici: si consegnò nel carcere di Milano per scontare un residuo di pena di poche settimane per associazione mafiosa, frutto dei calcoli successivi alla pronuncia della Corte di Cassazione sulla condanna. Ma non solo: l’anno dopo si mise in evidenza perché stava realizzando un attico, naturalmente abusivo. Ben duecento metri al terzo e ultimo piano del palazzo di “Magliano”, anagraficamente situato in corso Sirena 277 a Barra. I lavori furono bruscamente interrotti dalla polizia e dai vigili urbani e lui denunciato a piede libero per aver violato la legge che regola le nuove costruzioni. I Cuccaro, soprannominati i “cuccarielli”, hanno il loro “regno” a Barra e sono stati per anni in guerra con i Formicola di San Giovanni a Teduccio. Alla base dei sanguinosi contrasti secondo gli inquirenti c’era l’agguato mortale contro Salvatore Cuccaro, potente numero uno della cosca familiare di Barra nonostante avesse soltanto 31 anni. Era il 3 novembre del ‘96 e il ras si trovava in compagnia di un amico incensurato nei pressi del commissariato di zona. Aveva appena firmato il registro dei sorvegliati speciali e in moto, sul sellino posteriore, stava tornando a casa. I sicari furono rapidissimi: si affiancarono e scaricarono una raffica di piombo sul pregiudicato.
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