Trentotto persone arrestate, sei ricercati e cinque indagati a piede libero. Sono i numeri dell’ultima operazione anticamorra coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Napoli e condotta dalla squadra mobile di Napoli e dalla guarda di finanza, un’operazione che di fatto segna il declino di un’intera organizzazione malavitosa, quella dei Licciardi, che sin dagli anni Ottanta ha calcato la scena del malaffare da protagonista, da “prima donna”. Da ieri la storia è cambiata. “Con questi arresticommenta sorridendo il procuratore capo Giovandomenico Lepore - abbiamo quasi decapitato il clan”. Infatti. I capi, i veri capi, quelli che portano i nomi di Vincenzo “’o chiatto”, Pierino “’o fantasma” e Maria “la piccolina” sono tutti detenuti da un pezzo. E in regime di carcere duro. Isolati da tutti e da tutto. L’ultimo ras, quello scelto al di fuori dei ranghi della famiglia per assenza di “intelligenze” interne, potrebbe seguire lo stesso destino. Gennaro Cirelli, 30 anni appena, l’hanno arrestato 24 ore fa, il 9 Luglio. Per associazione di stampo mafioso con l’aggravante di capo e promotore. Era lui che “cuciva” le alleanze con gli altri clan, lui che organizzava, curava e controllava gli affari di famiglia. Lui, ma non solo. Paolo Abbatiello, di Vincenzo Licciardi, ne è il cognato. Uno dei pochi che durante il periodo di latitanza del boss conosceva i suoi rifugi ed era autorizzato a recarsi presso le località segrete per discutere di “cose di casa”. Questo suo stretto legame di parentela con il padrino, unitamente al suo spessore criminale, ne ha fatto un pari grado di Cirella. Tra l’elenco delle persone finite in manette in esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere a firma del giudice per le indagini preliminari della quarta sezione penale del tribunale di Napoli, il suo nome non c’è. E’ sfuggito alla cattura. E solo quando anche lui finirà in cella, la cosca della Masseria Cardone potrà considerarsi ‘morta’ per davvero. Ecco spiegata la prudenza nelle parole del procuratore Lepore nel corso della conferenza stampa organizzata nella tarda mattinata di ieri per illustrare il contenuto di un’inchiesta costruita per centrare due obiettivi: colpire “il profilo militare ma anche quello patrimoniale”, la “strategia preferita” dalla Dda, come spiega Roberti, e che sarà usata “con perseveranza anche in futuro”. Lo scopo è stato raggiunto: oltre agli arresti, è stato eseguito un sequestro di beni per un valore di poco superiore ai 300 milioni di euro, una cifra che mai prima di oggi era stata ‘sottratta’ alla camorra. I sigilli sono stati apposti ad appartamenti, a fabbricati, a terreni, a polizze assicurative, ad autovetture e a motocicli di lusso, ma soprattutto a società e a quote di partecipazione in società operanti nel settore calzaturiero ed immobiliare, a conferma, ancora una volta, della vocazione imprenditoriale della famiglia Licciardi, che già anni fa aveva investito i suoi capitali illeciti nel commercio parallelo gestito dai magliari. Arezzo, Massa Carrara, Roma e Frosinone erano i “paradisi fiscali” del clan, le “oasi felici” dove operavano le imprese di famiglia all’apparenza pulite. E’ stato tutto scoperto con lo strumento delle intercettazioni, telefoniche ma soprattutto ambientali, iniziate per stanare il latitante Vincenzo Licciardi. L’utenza di Giuseppe Barbato è stata la prima a finire sotto controllo, perché lui, il cassiere del clan, era di certo a conoscenza del nascondiglio della primula rossa. Poi è stato tutto un susseguirsi di operazioni di “spionaggio”. Sono state piazzate cimici nella sala colloqui dei penitenziari dove erano detenuti Maria Licciardi e Giovanni Cesarano, nonché nelle abitazioni di personaggi di spessore del gruppo, come Gianfranco Leva e Francesco Matafora. Le dichiarazioni dei pentiti, che non mancano neppure in questo caso, sono servite solo per puntellare un lavoro già completo, per aiutare l’Antimafia a tratteggiare al meglio gli scenari malavitosi dell’area a nord di Napoli e la gestione degli affari illeciti del clan. Giovanni Piana, ad esempio, ha parlato molto della droga. Pasquale Gatto, invece, ha tracciato tutta la storia criminale dei Licciardi, dal momento che del sodalizio della Masseria Cardone è stato uno storico affiliato prima di passare con i Misso e poi con i Torino. Per Carmine Alfieri e Pasquale Galasso vale lo stesso discorso. E, per finire, c’è Gennaro Panzuto, che dei Licciardi ha i ricordi più ‘freschi’ di tutti. Giovanni Licciardi, il figlio del defunto boss Gennaro, è il personaggio sul quale si sofferma più a lungo, perché è con lui che è entrato in contatto per “questioni” legate al traffico di droga. Il materiale è corposo. Gli indagati lo sanno perché l’ordinanza è stata consegnata loro insieme alle manette. L’hanno studiata per una notte intera. La notte prima degli esami. Anzi, dell’esame. Quello che dovranno sostenere dinanzi al gip.
venerdì 11 luglio 2008
Decapitato il clan Licciardi della Masseria Cardone
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