martedì 22 luglio 2008

Il pentito Vassallo "sull'affaire monnezza" denuncia i Casalesi

Il prezzo per lo stoccaggio di rifiuti speciali in Campania era stracciato, imbattibile sul mercato. Così le ditte del nord si passavano la voce e stoccavano le scorie prodotte dalle loro industrie nelle campagne di Giuliano, Aversa, Trentola Ducenta, Ischitella. In cambio ricevevano delle false fatture maggiorate del prezzo realmente pagato. La ditta di stoccaggio faceva questo piacere, così loro nello storno della dichiarazione dei redditi riuscivano ad ottenere un rimborso maggiore di Iva. Registi di questo immenso disastro ambientale e fiscale erano imprenditori insospettabili e camorristi-manager diretti dal boss Francesco Bidognetti. Il 19 Luglio la Direzione distrettuale antimafia, ha dato esecuzione ad un decreto di sequestro probatorio di otto discariche abusive dopo le indagini. Otto siti tutti ricompresi tra Giugliano e Aversa, in campagne che solo apparentemente erano adibite a coltivazioni ma che in realtà nascondono delle bombe-ecologiche senza pari. A svelare il patto tra camorra e imprenditori è stato Gaetano Vassallo. L’uomo (era libero anche se indagato in più processi proprio per la contiguità con il clan dei Casalesi) un bel giorno si è presentato alle porte della Questura ed ha raccontato di volersi pentire. Grazie ai suoi racconti gli investigatori hanno messo sotto inchiesta 17 persone, 9 delle quali fratelli dello stesso pentito. Un sistema che lui stesso definisce perfetto e che permette alla camorra di fatturare decine di milioni di euro ogni anno. Le società di stoccaggio ricevevano dal nord tutti i rifiuti che difficilmente le altre ditte autorizzate riuscivano a smaltire a costi contenuti. I carichi arrivano su dei tir e venivano scaricati così com’erano nelle campagne. «Per ogni chilogrammo di rifiuto conferito nella mia discarica io guadagnavo 10 lire al chilogrammo ». Gaetano Vassallo è un fiume in piena e riempie pagine e pagine di verbali che hanno arricchito le conoscenze degli investigatori e degli inquirenti che indagano sul clan dei Casalesi e sul business del traffico di rifiuti speciali proveninenti dal nord Italia. Milioni e milioni di euro che ogni anno venivano accumulati dai fratelli Vassallo, tutti denunciati per concorso esterno in associazione camorristica e per disastro ambientali, che usavano in parte per pagare tangenti ai funzionari e in parte per comprare immobili, alberghi e auto di lusso. Ecco cosa ha raccontato l’ex imprenditore ora passato a collaborare con lo Stato. «Gli accordi con Francesco Bidognetti e con Gaetano Cerci si articolavano in due modi distinti, in un caso, qualora i rifiuti speciali e solidi urbani extraregionali, venivano smaltiti effettivamente presso la discarica, io provvedevo a versare 10 lire al chilo a Cerci, somme che consegnavo mensilmente in contati. Ero io personalmente a tenere i conteggi e usavo portarmi da Cerci cui esibiso i documenti di contabilità accompagnati da un brogliaccio manoscritto nel quale annotavo i ricavi, In base ai miei conteggi calcolavo le 10 lire al chilo e consegnavo le somme a loro. Circa 15 milioni di lire al mese». È lo stesso pentito a raccontare come faceva a raggirare il clan. «Io evitavo sempre di contabilizzare correttamente i ricavi così da evitare di pagare di più a loro. Cerci infatti non riusciva a tenere bene i conti e per me era facile ingannarlo, essendo questi impegnato a considerare contemporaneamente sia la mia discarica, sia quella di Luca Avolio e di Cipriano Chianese. Ovviamente la possibilità di fare questo mi era data anche dalla circostanza che i produttori e i trasportatori erano riservati e non dicevano nulla. Io glielo chiedevo espressamente». «La contabilità in nero fu parzialmente da me bruciata e sotterrata nel giardino dell’abitazione di mia madre a Cesa, nel periodo che precede il mio arresto del 1993. Era una precauzione per evitare problemi di natura fiscale». «Questa operazione è l’ennesima dimostrazione che i traffici di rifiuti con il corollario di disastri ambientali, oltre a rappresentare un business per la criminalità organizzata, rappresentano un serio problema di sicurezza e come tali devono essere affrontati». La camorra, come pure gli altri sodalizi criminali, si è sempre caratterizzata come movimento anti-ecologista. Fin dalla sua nascita ha avuto la pretesa di trasformare il territorio, di controllare e gestire ogni suo singolo mutamento. Quasi tutti i business malavitosi hanno un forte “impatto ambientale”, manifestando un evidente spregio per la natura, gli uomini, gli animali. Del resto controllare un territorio, trasformarlo secondo le proprie pretese, significa esercitare al meglio il dominio su persone, animali e cose che vi appartengono». Per anni e anni hanno sversato di tutto nelle campagne tra Giugliano ed Aversa. Ci hanno costruito su palazzi, condomini dove scorrazzano bambini di ogni età. Ci hanno costruito su delle scuole e anche delle strade arse dal sole in estate e allagate d’acqua d’inverno. Ma ai camorristi non frega nulla. Il vero problema è che oramai l’inquinamento ha raggiunto dei livelli altissimi. Dicono i pubblici ministeri a pagina 87 del decreto di sequestro probatorio che il danno procurato all’ambiente conseguente all’attività svolta dagli imprenditori collusi è davvero incommensurabile e difficilmente reversibile. Per questo il reato che contesta la Procura è di disastro ambientale e nei prossimi giorni partiranno i rilievi disposti dalla Procura. Le otto discariche sequestrate sono state indicate tutte dal collaboratore di giustizia Gaetano Vassallo. Il 29 maggio inizia a parlare dei rifiuti e racconta in poche righe ciò che è la sintesi più raccapricciante di ciò che sta avvenendo a Napoli e in provincia e in buona parte del casertano. «In poche parole, tutto il sistema dei rifiuti, sia gli rsu che i rifiuti speciali, nelle diverse fasi della gestione stessa, ad esempio il trasporto, lo smaltimento, la raccolta, era completamente gestito e controllato dalla criminalità organizzata e ciò si nel periodo in cui la raccolta era affidata ai privati, sia nel periodo in cui la gestione è poi passata al pubblico con le ecoballe. Non era assolutamente possibile che una società non collegata e non indicata da uno dei clan operanti nelle zone dove i rifiuti venivano gestiti potesse avere anche solo una piccola parte di lavoro. Chi lavorava nel settore dei rifiuti lo faceva solo se era stata preventivamente individuata dalla criminalità organizzata e questa aveva dato il suo placet. In sostanza un camion di una ditta non collegata non avrebbe mai potuto lavorare, caricare, scaricare, movimentare rifiuti per uno di questi siti. Nei pressi di Giugliano, spiegano gli inquirenti della Dda, c’è una collina formata dall’accumulo di materiale nocivo: pneumatici triturati, rifiuti farmaceutici, oli industriali, batterie di auto, auto distrutte, rifiuti cimiteriali e ospedalieri. Non c’era un solo materiale che non potesse essere occultato sotto le campagne del giuglianese. A nessuno interessava se la falda acquifera era distante a poche decine metri di profondità e se fosse già in atto un inquinamento delle acque. Lì i topi morivano, gli infetti fuggivano e non cresceva neanche un filo d’erba. La “monnezza” del nord creava un deserto al sud e ricchezza nelle tasche dei camorristi. Gli imprenditori dello stoccaggio, ha spiegato poi Vassallo, accumulano soldi che destinavano in parte a pagare tangenti ai funzionari pubblici corrotti. Ci sono indagini in corso per individuare le ditte che erano a conoscenza di questo meccanismo e le responsabilità degli enti pubblici coinvolti che avrebbero dovuto controllare e non l’hanno fatto.

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