martedì 29 luglio 2008

Le rivelazioni di Giuseppe Misso 'o nasone, per anni boss incontrastato del rione Sanità


«Ho dovuto ingoiare altri rospi e addirittura ho dovuto colloquiare con persone che avevano partecipato all’omicidio di mia moglie ovvero Peppe Ammendola. O quando poi ho accettato di intavolare una discussione con Eduardo Contini per il tramite di Salvatore Savarese e Ciro De Marino,che andarono a parlare con lui dopo aver lasciato i mezzi. L’ho fatto perché per me era conveniente creare un clima apparente di tregua. Una volta scarcerato, dopo che era già venuto Salvatore Lo Russo, si presentò da me anche Ciro “’o scellone” con il nipote Michele, figlio di Vincenzo Mazzarella, per dire che conveniva anche a me fare la pace seguendo il loro esempio, poiché l’avevano fatta nonostante fosse morto il padre per mano di Secondigliano». Il 12 marzo scorso il boss pentito Giuseppe Misso “’o nasone” (all’anagrafe Giuseppe Missi) raccontò ai pm antimafia Amato, Narducci e Sargenti le sue peripezie verbali e comportamentali per giungere allo scopo che si era prefissato: vendicare la morte della moglie, Assunta Sarno. Le sue dichiarazioni sono accusatorie nei confronti di molte persone, le quali naturalmente devono essere ritenute estranee ai fatti narrati fino a prova contraria. Una precisazione importante, che facciamo sempre in casi del genere. «Uno dei rospi che ho dovuto ingoiare è stata la presenza di Pasquale Cappuccio nel rione Sanità. La vicenda è andata avanti per lungo tempo poiché il mio obiettivo era quello di ammazzarlo solo dopo averlo torturato e avergli fatto confessare che lui era stato un infiltrato dell’Alleanza di Secondigliano e in particolare di Eduardo Contini. Io già lo sapevo, ma anche Cappuccio diffidava di me e quindi per questa ragione, quando veniva a trovarmi, si faceva accompagnare sempre da un fratello. Dissi quindi a Salvatore Savarese che doveva far prendere fiducia a Pasquale Cappuccio, cosicché l’avremmo ammazzato solo dopo che lui avesse cominciato a fidarsi nuovamente di me. È questa la ragione per cui si è trovato coinvolto in fatti eclatanti come l’agguato alle Fontanelle. Poi, alla fine, la morte di Pasquale Cappuccio avvenne per un’iniziativa riconducibile ai Mazzarella. Un tale “Pirulino”, uomo dei Mazzarella che viveva alla Sanità, venne da me e mi chiese se Pasquale Cappuccio, che viveva e operava nella zona dei Tribunali, fosse una persona mia in quanto loro, in particolare Francesco Mazzarella e i nipoti di Vincenzo Mazzarella, non si fidavano. Avevano dunque deciso di ammazzarlo ma volevano sapere da me se potevano farlo oppure no. Io dissi a “Pirulino” che Cappuccio non era mio amico e che loro potevano fare quello che volevano. Così poi Cappuccio fu ucciso proprio per mano delle due persone che sono state processate e condannate per il delitto». Giuseppe Misso senior il 12 marzo scorso ha parlato anche dell’organizzazione dell’agguato a Vito Lo Monaco, un rapinatore d’alto livello di origini siciliane che si era legato molto al boss del rione Sanità. Per questo non si fidava di nessuno e per sorprenderlo, secondo il racconto del collaboratore di giustizia, c’era un solo sistema: farlo avvicinare da suoi ex complici nell’assalto a banche e portavalori. «Anni dopo seppi che la Cupola di Secondigliano che era stato proprio Pasquale Cappuccio a mettere in contatto Salvatore Esposito “cavolfiore” (poi ucciso dal clan Misso per vendetta, il 23 ottobre 1999) e “o’ francese” con Contini e la Cupola. Era stato quindi organizzato un piano per sorprendere e portare in trappola Vito Lo Monaco, che altrimenti non sarebbe stato possibile ammazzare. Così “Cavolfiore” e “O’ francese”, che avevano commesso molti colpi con Lo Monaco, lo portarono sulla Tangenziale».

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