martedì 29 luglio 2008

Il ritratto fatto dai Misso al boss arrestato Vincenzo Pirozzi

Era minorenne quando Vincenzo Pirozzi entrò a far parte del clan Misso. Fu la sua parentela con il boss Giulio Pirozzi, storico braccio destro di Giuseppe Misso (nella foto), a facilitare il suo precoce inserimento nell’organizzazione criminale. Ma a favorirlo fu anche la relazione sentimentale della sorella Maria con Salvatore Sequino, «il quale - si legge nel decreto di fermo - insieme con il fratello Sequino, è stato sempre organico al clan Misso, fino alla sanguinosa faida scoppiata nella Sanità nel 2005, che ha visto la scissione del gruppo facente capo a Torino Salvatore con cui i citati fratelli si sono schierati». Alla fine degli anni ’90, sebbene fosse ancora minorenne, gli esponenti di maggiore rilievo dell’organizzazione si accompagnavano spesso al Pirozzi. Lo dimostrano i numerosi controlli di polizia a carico del giovane. Oltre che con lo zio Giulio, è stato spesso fermato con Giuseppe Misso junior, Michele Mazzarella, Emiliano Zapata Misso, Salvatore Savarese, Antonio Mazza. Nel decreto di fermo emesso dalla Dda di Napoli sono riportati alcuni controlli di polizia effettuati negli ultimi 10 anni, che secondo la procura forniscono un altro significativo riscontro della sua affiliazione al gruppo Misso. Ecco alcuni nomi di persone che sono state controllate con il Pirozzi: Maurizio De Matteo, già killer e attuale collaboratore di giustizia del clan Misso; Massimiliano Di Franco, condannato quale appartenente al clan; Vincenzo Di Maio, alias “enzuccio a fighetta”; Gennaro Galeota, ferito in un agguato camorristico il 1 luglio 1999 nella “strage di via Fontanelle”; Carmine Grosso, detenuto per 416bis; Salvatore Lausi, deceduto in un agguato nel 2001; Antonio Mazza, fratello di Michelangelo; Salvatore Romagnolo, condannato per 416bis.
«Era molto bravo a guidare la moto, per questo mio zio Giuseppe lo volle come componente del gruppo di fuoco del clan Misso». A parlare è Emiliano Zapata Misso, che nel corso di un interrogatorio, allegato al decreto di fermo, descrive il ruolo di Vincenzo Pirozzi quale killer del clan. Proprio la sua abilità con la moto ne faceva un componente ideale per eseguire gli omicidi. È lo stesso Zapata insieme con il fratello Giuseppe “’o chiatto” a tirarlo in ballo per l’omicidio di Felice Cerbone (per il quale Pirozzi non è indagato), avvenuto alla Maddalena nel ’99. Ecco il racconto: «Il delitto di Cerbone avvenne quando mio zio era già tornato libero. Cerbone commetteva estorsioni nella zona della Maddalena senza versare nulla al clan Mazzarella, che controllava quella zona, e prendendo i soldi per sè. Michele Mazzarella chiese a mio zio Giuseppe di poter utilizzare un killer del gruppo Misso per uccidere Felice Cerbone anche perché sosteneva che la prima persona sospettata, nel caso di un delitto sarebbe stato lui. Mio zio Giuseppe incaricò del delitto Vincenzo Pirozzi “’o picuozzo”, al quale ultimo Michele Mazzarella promise che avrebbe avuto un bel regalo in soldi. Pirozzi era affiancato da Angelo Marmolino detto “mezzalingua” del gruppo Mazzarella e i due insieme avrebbero dovuto portare a termine questa esecuzione. Il giorno in cui avvenne il delitto, per due tre volte Vincenzo Pirozzi ed Angelo Marmolino si recarono nella zona della Maddalena allo scopo di individuare e sorprendere Felice Cerbone, ma non lo trovarono. Quando tornarono da Michele Mazzarella, quest’ultimo si arrabbiò perché diceva che era impensabile che Cerbone non stesse lì nella zona dove commetteva le estorsioni. Infatti, lo trovarono subito e Michele Mazzarella lo ammazzò mentre Vincenzo Pirozzi guidava il motorino, su cui erano andati in zona. Posso riferire queste circostanze in quanto mi sono state raccontate da Vincenzo Pirozzi, il quale mi disse che Cerbone era morto vicino ad un negozio di scarpe».

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