Un tempo neppure molto lontano il clan Licciardi era gestito solo da Licciardi. Gennaro ’a scigna è stato il primo leader della dinastia. Poi, dopo la sua morte, sono arrivati Pierino ’o fantasma, Vincenzo ’o chiatto e Maria la piccolina. Tutti fratelli. E tutti accomunati da un incredibile spessore criminale. Grandi menti della camorra. La famiglia erano loro. Loro e loro soltanto. I figli, gli eredi, i designati successori al trono, sono altra cosa. Altra ‘pasta’, altro carisma. Meglio, senza carisma. Nel clan lo sapevano tutti, e ne erano consapevoli pure i boss, al punto tale che sono stati gli stessi padrini a scegliere come loro vice e futuro capo un estraneo, uno che in famiglia c’era entrato grazie ad un lontano rapporto di parentela acquisito per il tramite della moglie. Gennaro Cirelli, la stoffa del camorrista doc, ce l’aveva davvero. Benché giovane, più vecchio ma solo di poco dei fratelli Giovanni e Pietro Licciardi, che, all’indomani dell’arresto degli zii, già assaporavano il momento in cui avrebbero impugnato lo scettro del potere, certi di meritarlo in ragione del fatto che il padre era il potente e temuto Gennaro ’a scigna. Loro, gli eredi, sono rimasti delusi. Scavalcati da un gregario quasi sconosciuto agli archivi delle forze dell’ordine. Gennaro Cirelli, Gerry per gli amici, è sotto processo insieme al boss della Torretta Rosario Piccirillo ’o biondo per usura ed estorsione ai danni di un imprenditore. Avrebbe fatto da mediatore tra la vittima e il malavitoso: questo sostiene la procura, questo è quello che i giudici della prima sezione penale del tribunale puntano a capire. Il processo è ancora in corso e Cirelli lo sta affrontando da libero. Nella sua fedina penale nessun’altra macchia. Eppure di lui dicono che è un capo. Il vero capo. “Il solo che aveva la possibilità di mantenere le alleanze con gli altri clan”, ha spiegato ieri mattina Vittorio Pisani, il capo della Squadra Mobile. Ma anche quello che “cura in ausilio di Antonio Errichelli la corresponsione agli affiliati” e che predispone le azioni di fuoco. Ci sarebbe la sua mano dietro alcuni degli agguati che si sono consumati nella Masseria Cardone durante la scissione dal clan operata da Giovanni Cesarano. Gli inquirenti ne sono certi e hanno inserito la loro convinzione negli atti dell’inchiesta che ieri mattina è culminata nell’esecuzione di 38 ordinanze di custodia cautelare in carcere. “Nel clima di tensione creatosi a seguito della scissione operata da Giovanni Cesarano - c’è scritto nel provvedimento di fermo - egli organizza, unitamente ad Antonio Errichelli, l’attentato a Vincenzo Allocco, ormai transitato tra le fila degli scissionisti dei Cesarano. Ed ancora organizza l’attentato alla vita di uno degli avversari scissionisti del rione Berlingieri, probabilmente Francesco Feldi”. Un boss a tutti gli effetti. Che ha assunto in via definitiva il comando dallo scorso 7 febbraio, giorno in cui è finita la latitanza di Vincenzo Licciardi con il quale Gerry era in “contatto diretto” e dal quale riceveva le direttive. I figli di Gennaro ’a scigna i suoi secondi. Ma non perché fossero particolarmente capaci. “Per ragioni dinastiche erano anche loro i capi - ha spiegato Pisani -, ma non prendevano decisioni sulle questioni più importanti quali erano le alleanze”, anche perché quando l’hanno fatto, quando sono stati messi alla prova, hanno giocato male la possibilità loro accordata “dimostrando - si legge nell’ordinanza - una certa incapacità nella gestione del clan, che aveva cagionato anche diversi malumori tra gli affiliati e gli alleati”. Anche quest’era è finita. Dei Liccardi non resta quasi più nulla.
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